FAQ

Domande e risposte relative al trattamento degli inquinanti dell’aria

Per stabilire se un filtro può essere recuperato è innanzitutto necessario verificarne lo stato di conservazione ed assicurarsi che non siano presenti danni estesi alla carpenteria e all’impianto di pulizia. Ogni impianto viene progettato e certificato tenendo in considerazione la destinazione d’uso, la portata d’aria e gli inquinanti da trattare. Questi dati vengono tenuti in considerazione anche in fase di re-vamping e, in caso di modifiche al sistema di aspirazione, è necessario verificare il progetto e l’adeguatezza allo stato di fatto.

Per rientrare nell’industria 4.0 gli impianti devono essere interconnessi, ovvero deve essere predisposta l’interoperabilità delle macchine e dei dati con i gestionali aziendali.

L’aria compressa utilizzata per la pulizia degli elementi filtranti non deve contenere acqua o umidità, in quanto la polvere aspirata tende ad aderire sulle aree bagnate creando uno strato di materiale difficilmente rimovibile. Questa condizione comprometterebbe l’efficienza degli elementi filtranti e ne ridurrebbe la durata nel tempo.

I componenti danneggiati o usurati devono essere smaltiti da apposite aziende specializzate.

La manutenzione coinvolge tutti i componenti dell’impianto e permette di controllarne gli aspetti prestazionali, permettendo di prevenire danni e fermi produzione che possono essere causati dal malfunzionamento del sistema. Durante questa operazione vengono rilevati i dati del sistema installato, quali: prestazioni dei ventilatori, perdite di carico degli elementi filtranti e tenuta meccanica delle giunzioni delle canalizzazioni.

Il problema maggiormente riscontrato su tubazioni di dimensioni elevate e portate d’aria ridotte, è l’accumulo di materiale all’interno del condotto. In fase di progettazione è fondamentale tenere in considerazione la contemporaneità di funzionamento dei macchinari per dimensionare l’impianto in modo corretto.
Per risolvere la problematica è necessario verificare lo stato di fatto dell’impianto e adeguarlo alle necessità. Tra le soluzioni applicabili, è possibile installare un inverter che aumenti il flusso d’aria all’interno della tubazione, ma è necessario verificare che la potenza del ventilatore permetta questa opzione.
Un altro aspetto molto importante è quello della manutenzione: tramite appositi portelli di ispezione è possibile verificare l’accumulo di materiale ed intervenire per rimuoverlo.
Per approfondimenti: https://www.tecnosida.it/progettazione-impianti-industriali-aspirazione-trattamento-aria

Bisogna valutare il numero di macchinari inseriti e, se la portata è variata considerevolmente, è necessario verificare l’adeguatezza del filtro installato in precedenza e l’eventuale modifica o sostituzione dell’aspiratore principale.
Se la portata è variata di poco si può intervenire inserendo le serrande sui punti di aspirazione per ridistribuire l’aspirazione sui punti necessari.

Se la nuova macchina è già dotata di sistema di aspirazione è importante richiedere al produttore il flusso d’aria necessario per un’adeguata aspirazione degli inquinanti. Diversamente, un nostro tecnico dovrà valutare lo stato di fatto della nuova macchina produttiva (caratteristiche, emissioni e simili) e adeguare l’impianto alle nuove portate.
È quindi necessario verificare che tutto il sistema impianto, e in particolare il ventilatore, permetta l’aggiunta del nuovo punto aspirante.

Il flusso aeriforme deve essere captato, convogliato all’interno dei filtri ed emesso in atmosfera a seguito di specifica autorizzazione. L’emissione all’interno dell’ambiente di lavoro è possibile solo in caso di utilizzo di filtri carrellati per lavorazioni saltuarie.

Come stabilito dal D.Lgs. n.152/06 (parte V, Allegato IX Impianti termici civili, Parte II requisiti tecnici e costruttivi, punto 2.9) le bocche dei camini devono essere posizionate in modo tale da consentire adeguata dispersione degli inquinanti. Quindi “le bocche dei camini devono risultare più alte di almeno un metro rispetto al colmo dei tetti, ai parapetti ed a qualunque altro ostacolo o struttura distante meno di 10 metri.”

Per migliorare l’efficienza energetica di un impianto di aspirazione si può intervenire in diversi modi:

  • valutazione dei punti emissivi presenti e dei sistemi di captazione (cappe, bracci..) installati. Questi ultimi devono essere dimensionati e posizionati tenendo in considerazione la geometria e le caratteristiche delle macchine;
  • scelta del percorso ottimale per il sistema di convogliamento, al fine di ridurre le perdite di carico;
  • installazione di un inverter per ridurre il numero di giri del ventilatore e i relativi consumi

Per approfondimenti su quest’ultimo aspetto: https://www.tecnosida.it/progettazione-impianti-industriali-aspirazione-trattamento-aria

Inizialmente bisogna fare un’analisi degli inquinanti presenti nell’ambiente e valutare se superano il Threshold Limit Value (TLV) e il Time Weighted Average (TWA), ovvero i limiti di esposizione ai quali i dipendenti possono essere esposti senza effetti dannosi per la salute. Se vengono individuati macchinari che superano questi limiti è necessario dotarli di un impianto di aspirazione in conformità con il Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/08).

Se i differenti inquinanti provengono da diverse postazioni è preferibile predisporre sistemi individuali di abbattimento, al fine di trattare ogni inquinante con la tecnologia più adeguata. Diversamente, se una singola macchina o postazione causa l’emissione di differenti inquinanti (e il flusso non è quindi divisibile), è necessario progettare dei sistemi di filtrazione e abbattimento in serie.

Le ragioni possono essere molteplici, tra le principali troviamo: velocità di attraversamento del flusso aeriforme non adeguata e/o tessuto filtrante non adatto all’inquinante trattato. Nel caso in cui nel flusso aeriforme siano presenti altri inquinanti oltre alle polveri è infatti necessario predisporre appositi sistemi di prefiltrazione per evitare che le maniche si intasino.

I nostri sistemi di captazione, convogliamento e abbattimento degli inquinanti dell’aria vengono dimensionati rispettando le Best Available Technologies (BAT) per la riduzione dell’inquinamento atmosferico. Quanto previsto dalle migliori tecnologie stabilite dalla Regione Lombardia (BAT) viene utilizzato come riferimento per tutte le Regioni italiane.

Dipende dalla tipologia di modifica che deve essere apportata all’impianto. In caso di modifiche sostanziali che mutano la funzionalità e i rischi esistenti dell’interno insieme, è necessario effettuare una valutazione dei rischi, apporre nuova marcatura CE e redigere una dichiarazione CE di conformità.
In caso di modifiche non sostanziali invece, le casistiche che si presentano sono due:

  • se i nuovi componenti sono macchine che possono funzionare in modo indipendente dal resto dell’insieme (e sono quindi marcate CE e accompagnate da dichiarazione CE di conformità) il loro inserimento è da considerare come l’installazione di macchine nuove e quindi non è necessaria la marcatura CE dell’insieme;
  • se i nuovi componenti sono quasi-macchine sarà necessario effettuare una valutazione dei rischi generati dalle interfacce tra le nuove componenti e il resto dell’insieme e quindi applicare la direttiva macchine alle nuove componenti come assemblate nell’insieme.

La norma CEI EN 60079-10-1:2016 per la classificazione delle aree a rischio di atmosfere esplosive generate da gas.
La norma CEI EN 60079-10-2 per la classificazione delle aree a rischio di atmosfere esplosive generate da polveri combustibili.

Gli impianti ATEX sono utilizzati in ambienti con atmosfera potenzialmente esplosiva e devono quindi soddisfare i requisiti previsti dalla direttiva ATEX 2014/34/UE.
Tali sistemi sono progettati per resistere alla pressione di esplosione che varia a seconda delle caratteristiche delle polveri. Per approfondimenti: https://www.tecnosida.it/direttiva-atex-impianti-aspirazione

Il termine ATEX (ATmosphères EXplosibles) fa riferimento al rischio di esplosione che potrebbe verificarsi in presenza di combustibile, comburente e fonte di innesco.

EMAS ed ISO 14001 hanno scopi e requisiti simili. EMAS richiede però maggiori garanzie di conformità legislativa e la comunicazione all’esterno degli impegni presi nei confronti dell’ambiente. L’EMAS prevede incentivi economici e semplificazioni amministrative per le organizzazioni che si certificano.

I due principali strumenti di certificazione ambientale sono le norme ISO 14001 ed il regolamento EMAS. La registrazione EMAS (Eco-Management and Audit Scheme) è recepita a livello comunitario, mentre la certificazione ISO 14001 ha valenza internazionale.

Sono strumenti che certificano la sostenibilità ambientale delle organizzazioni che si impegnano nel ridurre le emissioni in atmosfera e l’impatto sull’ambiente delle loro lavorazioni.

Si, i nostri impianti rispettano tutte le norme e le direttive attualmente in vigore: CE Direttiva Macchine 2006/42/CE, UNI EN ISO 9001:2015, UNI EN ISO 11304-1, Allegato tecnico 32/2 regione Lombardia del 10/01/2012 (B.A.T).

A differenza della VIA, la VAS trova applicazione nelle fasi di pianificazione e programmazione territoriale. Questa valutazione analizza i possibili effetti che i grandi interventi edilizi possono causare sul territorio.

La VIA, regolata dal D.Lgs 152/2006, è una procedura applicata in fase di progettazione di opere edilizie con l’obiettivo di valutarne la sostenibilità ambientale.

Gli strumenti messi a disposizione dalla Legge sono VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) e VAS (Valutazione Ambientale Strategica). Si tratta di procedure che hanno come obiettivo la protezione dell’ambiente dall’impatto delle attività umane.

L’AUA non si applica, generalmente, ai progetti sottoposti alla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e agli impianti sottoposti all’AIA.

L’AUA viene rilasciata dallo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP) e deve essere richiesta dal gestore, ovvero dalla persona che ha potere decisionale circa l’installazione e l’esercizio dello stabilimento.

L’AUA è obbligatoria ogni qual volta un gestore di un impianto non sia assoggettato, ai sensi della normativa ambientale vigente, alle disposizioni di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA).
L’AUA dovrà inoltre essere richiesta nel caso di nuovo stabilimento/impianto o, nel caso di impianto esistente, al verificarsi di una modifica sostanziale che comporti una variazione delle condizioni.

Si tratta di un provvedimento abilitativo che incorpora in un unico titolo diverse autorizzazioni ambientali previste dalla normativa di settore. L’AUA (Autorizzazione Unica Ambientale) è stata introdotta per semplificare gli adempimenti amministrativi ambientali e si applica agli impianti non assoggettati ad AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) o VIA (Valutazione di Impatto Ambientale). Viene rilasciata dallo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP).

Le attività soggette ad Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) sono quelle che possono generare danni ambientali significativi. Tali attività sono elencate negli allegati alla parte seconda del D. Lgs. 152/2006. Tra di esse troviamo attività energetiche, la produzione e trasformazione dei metalli, l’industria chimica e le raffinerie. Per questo tipo di lavorazioni è necessario presentare la domanda di autorizzazione prima di installare un sistema di aspirazione e filtrazione.

L’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) ha come scopo la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento generato dalle attività produttive. Segue i principi generali stabiliti dal D.Lgs. 152/06 e valuta l’impatto dei processi produttivi sul suolo, sulle acque, sull’atmosfera e sulla salute umana. Include anche gli effetti derivanti dalla gestione dei rifiuti e da possibili eventi incidentali.

In Italia sono state introdotte due specifiche autorizzazioni: Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) e Autorizzazione Unica Ambientale (AUA)

Le polveri di alluminio sono classificate come potenzialmente esplosive, ma per avere dei valori corretti di Kst e Pmax e scegliere la soluzione progettuale più idonea è necessario analizzare le polveri.
Durante il processo produttivo in cui sono emesse, le polveri di alluminio potrebbero infatti essere soggette ad ossidazione e questo potrebbe modificarne le caratteristiche di esplosività. Dalle analisi potrebbero quindi emergere dei dati molto diversi da quelli conosciuti empiricamente e, in caso di valori più bassi, potrebbe non essere necessaria l’installazione di dispositivi per zone ATEX.

Per questa verifica è necessario:

  • conoscere il diametro del camino e le eventuali variazioni di flusso causate dalla presenza di cambi di sezione, curve e simili;
  • verificare il numero di punti di prelievo campione e la loro posizione;
  • conoscere la portata d’aria in atmosfera per verificare se la velocità dell’aria all’interno del canale è idonea per l’esecuzione del campionamento;
  • verificare se nel raggio di 10 metri il camino è l’elemento più alto

Un filtro ATEX può essere installato all’interno di un capannone, ma devono essere predisposte delle misure di sicurezza. Tra queste ultime troviamo:

  • l’installazione di un dispositivo “rompifiamma” che in caso di esplosione eviti la fuoriuscita della fiamma dal filtro;
  • la canalizzazione delle sezioni di sfogo dell’esplosione all’esterno del capannone;
  • l’interdizione dell’area interessata al passaggio di mezzi e persone.

La scelta delle misure da adottare varia a seconda delle diverse situazioni e del posizionamento del filtro.

I dispositivi di protezione comunemente più utilizzati per i filtri ATEX sono: valvole di non ritorno, pannelli di sfogo dell’esplosione con sensori, valvola rotativa a tenuta per lo scarico delle polveri, sistemi di soppressione e dispositivo “rompifiamma” (in caso di installazione all’interno di un capannone).
Ogni componente ha dei limiti di applicabilità e la scelta varia a seconda delle caratteristiche delle polveri e dei gas presenti nel flusso aeriforme. Sotto questo punto di vista, parametri molto importanti da tenere in considerazione sono Kst e Pmax. Per approfondimenti: https://www.tecnosida.it/direttiva-atex-impianti-aspirazione

Per stabilire se le aree produttive sono zona ATEX è necessario richiedere una verifica ispettiva ad aziende specializzate. Queste ultime effettuano una valutazione dei rischi di esplosione (tipologia e concentrazione delle polveri, presenza di combustibile, comburente, fonte di innesco e simili) e rilasciano la classificazione delle zone ATEX. Per approfondimenti: https://www.tecnosida.it/nuova-direttiva-atex-34-2014.

Per stabilirlo con certezza è necessario effettuare dei test di laboratorio che permettono di analizzare la polvere e definirne i parametri di esplosività (Kst, Pmax, MIE, MIT, LEL e UEL). Per approfondimenti sulle polveri esplosive visita la nostra pagina dedicata: https://www.tecnosida.it/polveri-esplosive-e-polveri-combustibili.

I filtri a coalescenza possono intasarsi nel caso in cui nel flusso aeriforme siano presenti degli inquinanti diversi dalle nebbie oleose, come le polveri. In questo caso è necessario effettuare un’analisi del flusso aeriforme ed installare un prefiltro meccanico che elimini le polveri.
Gli oli presenti all’interno del flusso possono inoltre addensarsi in caso di basse temperature. In questo caso è necessario installare un sistema di riscaldamento e prevedere la coibentazione del filtro e, se necessario, delle tubazioni.

I filtri a cartucce, rispetto ai filtri a maniche, sono più economici e presentano una superficie filtrante maggiore con dimensioni di ingombro decisamente inferiori. Questi filtri risultano quindi più idonei in caso di spazi ridotti, ma la pulizia delle cartucce filtranti è più difficoltosa a causa delle pieghe tipicamente presenti su questa tipologia di elementi. I filtri a cartucce sono adatti per il trattamento di polveri grossolane e caratterizzate da elevato peso specifico (sabbiatura e simili). I filtri a maniche sono invece più ingombranti e più costosi, ma permettono di trattare polveri fini e ultrafini (talco, grafite e simili). Per approfondimenti: https://www.tecnosida.it/filtri-a-maniche-vs-filtri-a-cartucce.

L’ossidatore va in autosostentamento quando il carico di inquinante è tale da autosostenere la combustione e mantenere la temperatura di set point in camera. Generalmente, con una concentrazione di Composti Organici Volatili (COV) tra l’1.5 e 2 g/Nmc, l’impianto di ossidazione termica rigenerativa va in autosostentamento. Per impianti a bassa efficienza energetica (impianti di ossidazione diretta, recuperativi e catalitici) la concentrazione di COV è tipicamente più alta.

Per migliorare il rendimento energetico degli ossidatori termici è necessario fare una valutazione dell’impianto esistente. Durante questa fase vengono analizzati diversi fattori, tra i quali:

  • tipologia di riempimento ceramico e altezza/geometria dello stesso (può essere sostituito con uno più efficiente o può essere alzato per ridurre i consumi);
  • ciclo dell’impianto (riducendo il tempo di ciclo, l’efficienza termica aumenta);
  • presenza di un recuperatore di calore (scambiatore di calore). Quest’ultimo può essere montato sul camino o, se presente, sull’hot by pass per ridurre i consumi energetici.

Questo aspetto può essere legato alla tipologia di inquinanti che entrano all’interno del depuratore a carboni attivi. Se le concentrazioni in ingresso sono diverse da quanto dichiarato inizialmente o se ci sono state variazioni produttive è necessario verificare l’impianto realizzato e adeguarlo alle nuove esigenze.

Il potere di ritenzione del carbone attivo dipende dalla tipologia degli inquinanti da trattare. Per stabilirne il livello di saturazione si può usare il metodo diretto o quello indiretto. Nel primo caso si misurano i COV in ingresso e in uscita tramite analizzatori di COV in continuo o analisi periodiche a monte e a valle del depuratore. Nel secondo caso si misura l’aumento di peso della massa carbonica (e quindi la saturazione) tramite apposite celle di carico poste al di sotto delle gambe del depuratore a carboni attivi.

Gli aspiratori carrellati sono conformi al Decreto Legislativo n.81/08 che disciplina la sicurezza sul luogo del lavoro. Per quanto riguarda l’emissione in atmosfera (Decreto Legislativo n. 152/06 Parte V), gli aspiratori possono essere utilizzati solo per operazioni saltuarie e non continuative. Questa saltuarità deve essere dimostrata agli Enti per non incorrere in sanzioni.

I motivi per cui la cappa non aspira possono essere molteplici, ma i principali sono due: progettazione non ottimale della cappa o errato dimensionamento dell’aspiratore. Quando si progetta un sistema di aspirazione è necessario tenere conto di diversi fattori (inquinante emesso, area di uscita, percorso della tubazione..). Visita la pagina dedicata per approfondimenti: https://www.tecnosida.it/progettazione-impianti-industriali-aspirazione-trattamento-aria.

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